Il volto femminile di Narciso.
- Il Guardiano del Faro
- 23 giu
- Tempo di lettura: 3 min
"Sono stanca. Non fai mai quello che dico. Pensi sempre ai fatti tuoi. Io vengo sempre dopo tutto e tutti. Sei un egoista, come tutti gli uomini."
A questo punto, esattamente, ogni conversazione sta già degenerando in discussione.
"Se esci da quella porta, non tornare più." Voce calma, tra l’ultimatum e la sfida. Il tono di chi pensa di aver già chiuso i giochi.
Ma io che sto facendo di tanto grave? Voglio solo vedere la partita con gli amici. Una birra. Due chiacchiere. Un pomeriggio qualsiasi. Penso, in modo infantile, tra me e me.
Ecco chi mi ricorda certe volte: mia madre, le sue ramanzine, i miei musi lunghi. Le punizioni.
Una cosa avevamo deciso insieme, all’inizio della convivenza, niente abbonamenti “strani”. Però, poi, quelli “strani” erano solo i miei, quelli sportivi, mentre in TV passava ogni serie a pagamento esistente nell'etere.

Ma la partita, questa domenica, per me conta. Perché un mio banale desiderio ha scatenato l’ennesima prova di forza? Inizio muto una retrospettiva di pensieri.
"Ti vesti male, non hai stile." Mi ha svuotato il guardaroba.
"Mi trascuri." Ho smesso di giocare a calcetto.
"A cosa serve conservare tutti questi libri e fumetti? Li hai già letti." Spariti. Regalati. La mia libreria azzerata.
"Pensi solo a quello." Da mesi il sesso è una concessione; il piacere, solo un ricordo.
Pezzo dopo pezzo, sono diventato un altro. Uno che non piace più nemmeno a se stesso. Lei ha preso il controllo. Io l’ho mollato. Ho lasciato che gestisse la mia vita. Per stanchezza. Per incapacità. Per amore, all'inizio. L’ho adorata così capace di tutto e più forte di me. E lei mi ha svuotato.
Ora, qualcosa si è rotto.
"Se credi davvero di poter uscire, lascia le chiavi di casa sul tavolo. Così capirò, finalmente, se hai le palle!" E ride.
“Io penso che…” inizio pacato. Mi stupisco di me stesso, parlo. Le parole escono piano. So esattamente cosa vorrei dirle. Non voglio urtarla. Sono stanco. E voglio solo smettere di subire. La guardo negli occhi. Non per sfidarla. Cerco solo un contatto visivo.
Lo schiaffo mi arriva forte, pesante, senza possibilità di evitarlo. Prima che possa pensare di finire la frase.
"Forse non hai ben capito chi comanda... Tu pensi, cosa? Tu non hai diritto di pensare!"
Parte un secondo schiaffo, più violento, non mi prende. Mi sposto in tempo. Sento l'aria muoversi.
"Chi ti credi di essere? Sei un povero cretino. Ne trovo cento meglio di te, se voglio. Non mi interessa cosa pensi, sei il nulla!" Mi urla contro.
Scalcia, mi colpisce. Un uragano di rabbia. Io cerco solo di restarle lontano. Difendermi è impossibile, mi faccio scudo come posso, senza reagire. Un colpo solo - la tentazione di colpirla mi assale - resto lucido invece, chi mai crederebbe alla mia storia. Un uomo picchiato da una donna? Troppo facile. Taccio.
Scappo via di lì.

Prendo le chiavi della macchina. Esco. Niente partita. Non in quelle condizioni. Ho il viso ancora caldo per lo schiaffo. Il labbro tumefatto, mi sento confuso. Il cuore batte forte.
Giro l'isolato per calmarmi. Una, due, tre volte. Alla quarta, mi fermo davanti a un bar. Mi sento uno stupido. Non entro. Respiro.
Guardo il telefono. Decine di notifiche, i suoi messaggi un tappeto che si muove serpeggiando sullo schermo, altro veleno edulcorato.
Apro la rubrica. Chiamo.
"Ciao, l'ho fatto, sono uscito di casa." La voce che mi risale in gola dall'inferno del silenzio, trema. "Ho bisogno di un posto dove stare, almeno per stanotte."
Senza aspettare risposta, metto in moto. Lascio il quartiere.
Vado via e non torno più indietro.
No, stavolta non torno.
È forte Guardiano. Davvero forte, accidenti.